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Cronaca

Fracassoni notturni a Ravello: il "j'accuse" del parroco scuote politica e società

Inserito da (Redazione), mercoledì 25 luglio 2018 12:06:30

di Sigismondo Nastri

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Leggo ora un articolo di Antonio Schiavo sul Vescovado, a proposito degli schiamazzi notturni a Ravello. Premetto che, pur trattando della "città della musica", che è anche città dell'arte, della letteratura, della cultura tout court, il problema non è circoscritto lì, ma diffuso su tutto il nostro territorio: se vado a sfogliare le cronache recenti e passate trovo molti elementi per una seria riflessione su come è cambiato il costume, il modo di far turismo, su come è venuto meno nella nostra società il rispetto per tutto quello che non ci tocca direttamente. Mi viene in mente un'espressione volgare, ma la riporto "addolcita": a tre metri di lontananza da me, ognuno faccia che vuole.

A volte, però, non riusciamo a rispettare neppure noi stessi. Mi piace come Schiavo conclude il suo intervento, rivolgendosi al parroco don Angelo Antonio Mansi. Con stesse parole nel 1494 da Pier Capponi nei confronti di Carlo VIII che aveva presentato un ultimatum, ricevendone un rifiuto, alla Signoria fiorentina. Il re aveva minacciato di suonare "le sue trombe". Il condottiero toscano rispose: "E noi suoneremo le nostre campane". Oltretutto al parroco nessuno potrà rimproverare nulla. Sono o non sono, le campane, come ci hanno insegnato, ‘a voce ‘e Dio?

E' stato proprio don Angelo Antonio, a quanto leggo, a levare il dito contro i fracassoni notturni. Egli vive nella casa canonica, attigua al Duomo, con le finestre che affacciano sulla piazza. La notte è fatta per il sonno e ad averne maggiormente bisogno sono le persone più impegnate di giorno. Non i fannulloni. Un parroco, ad esempio, pastore di anime, capo di una piccola comunità di fedeli. Custode di ansie, dubbi, situazioni difficili, problemi esistenziali che gli vengono confidati nella sagrestia o nel segreto del confessionale. Di cui si deve caricare per farsene tramite e affidarle alla misericordia divina. Non credo che a fine giornata, pur raccogliendosi in preghiera, possa andare a letto sereno. Forse gli è già difficile prender sonno. Poi ci si mettono le orde di fracassoni notturni a tenerlo ancor più in agitazione.

Conosco don Angelo Antonio da tempi lontani. Siamo stati colleghi nell'insegnamento. L'ho sempre apprezzato per la dottrina, la sensibilità umana, per l'impegno nel farsi apostolo del Vangelo. Ma quando si innervosisce, non si tira indietro nella discussione. Lo apprezzo per questo.
Il suo grido d'allarme ha indotto altri a scendere in campo, forse ha scosso qualche coscienza: tra amministratori, operatori turistici, cittadini (non è solo la canonica che, del resto, si riflette sul lucido pavimento della piazza del Duomo). Antonio Schiavo ha citato esperienze dirette vissute da lui e dalla sua famiglia.

Spero che si trovi il modo di assicurare vivibilità a chi risiede a Ravello, si sbraccia, lavora, fa crescere l'economia del paese. E ai tanti che ci vengono per respirarne l'ésprit, per goderne le bellezze, anche per sposarsi (perché non c'è luogo più bello per coronare un amore), non per cafonerie e cialtronerie varie. Magari presi dai vapori dell'alcol.

Come dicevo all'inizio, non è sotto attacco soltanto Ravello. Anche altri luoghi della Costiera. Solo che è qui, a Ravello (che non per niente si chiamava Rebellum, cioè "ribelle") c'è stato chi ha avuto il coraggio di scendere in campo, con parole chiare. E con l'autorevolezza del suo ruolo. Altrove, magari, ci si adatta. Si va a dormire con i tappi nelle orecchie.

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